Nomadismo - Intervista a Junior Pimenta
"Junior Pimenta è nato e cresciuto in Oros nello stato del Cearà nel Nord-est del Brasile.
Attualmente vive tra Belo Horizonte e Fortaleza.
E’ un visual artist, ma anche curatore ed editore. Infatti, insieme alla sua compagna, Ana Cecilia Soares, giornalista, ha fondato la rivista indipendente Reticencias, che si occupa della diffusione e riflessione sull’arte contemporanea.
“ La parola mi ha sempre interessato, ma fino a quel momento, non avevo mai scritto nulla e non avevo mai utilizzato la parola scritta da nessuna parte. Ma mi piaceva dialogare con altri artisti e leggere i testi d’artista, penso che sia un modo di far riflettere su diverse questioni relazionate non solo all’arte”
Pimenta mi racconta che per lui è fondamentale essere artista e curatore allo stesso tempo, riuscire a capire lo spazio dove inserire una mostra, conoscere non solo le opere ma anche come poter creare il miglior percorso per fruire in modo ottimale del messaggio dell’arte.
“ Ci sono artisti e artisti, quelli a cui interessa soltanto parlare del proprio lavoro, e poi ci sono quelli che trovano di estrema importanza entrare in contatto anche con altre produzioni, diventano in questo modo degli artisti/curatori”
Anche la scrittura, come si è accennato, diventa fondamentale:
“ Quando prepariamo un numero della rivista, cerchiamo di avere non solo i testi di critici e curatori, ma è imprescindibile per noi avere anche il testo di un artista, che possa attraverso il suo sguardo raccontare una precisa storia.”
La sua pratica artistica, invece, nasce da un modo di pensare fuori dagli schemi, avendo spesso come focus centrale quello dei dislocamenti, non solo come vivere al di fuori dal centro, ma anche come flusso migratorio.
Questa tematica dello spostamento affonda le radici in vari momenti collegati alla storia del paese stessa, basti pensare alla migrazione dal profondo nord del paese verso le città più ricche e industrializzate, come San Paolo e Rio de Janeiro, ma anche il ciclo inverso, basta pensare a quello che ha portato il centro industrializzato a raggiungere il nord per l’estrazione della gomma ad esempio.
Questa forma di nomadismo, quindi la mancanza di un insediamento stabile che porta ad uno spostamento perpetuo, ha segnato la storia artistica di Junior, perché parla inevitabilmente del suo territorio e della sua città natale, ma anche della sua storia personale.
Da giovane si sposta dal nord-est del Brasile, verso Minas Gerais, situato a sud-est, insieme alla famiglia. Lì non si è mai sentito veramente a casa, ed è grazie a questa esperienza che inizia la sua ricerca sulla migrazione.
Nel 2017 viene a conoscenza della storia di un rifugiato del Gambia, che dopo durissimi attacchi xenofobi, si suicida gettandosi nel canale a Venezia; la sua morte viene trasmessa online dai turisti che lo riprendono durante il macabro gesto. Questo episodio segna profondamente Junior, che decide di creare nel 2018 il progetto “Mal vindos” (malvenuti), una serie di zerbini con delle frasi xenofobe, come ad esempio “ se for negro nao entre” (se sei negro non entrare), oppure “ volte pra tua terra” (torna nella tua terra), o ancora “ aqui nao precisamos de estrangeiros” (qui non abbiamo bisogno di stranieri). Un invito al mondo a riflettere su quanto odio può esistere nei confronti dei migranti, di tutti i generi ed etnie.
Quello che mi ha attirato moltissimo del lavoro di Junior Pimenta, è questa sua centralità di tematica, che tocca non soltanto persone di territori diversi, ma anche di uno stesso luogo e paese. Siamo stranieri molte volte anche a casa nostra.
"C'erano delle volte in cui mi dicevano di tornare nella mia terra, che io lì ero uno straniero...ma poi pensavo: com'è possibile che io sia straniero nel mio stesso paese?"
“L’odio non è dato ma è da conquistare ad ogni istante, da issare all’essere, in conflitto con dei complessi di consapevolezza più o meno riconosciuti. L’odio chiede di esistere e colui che odia deve manifestare l’odio attraverso degli atti, attraverso un comportamento appropriato…” (Frantz Fanon, Pelle nera, maschere bianche)
Quella del migrante è una questione molto sensibile, e ignorata dai più. L’arte come forma di educazione diventa essenziale per portare alla luce questa problematica e aiutare nel combattere l’odio gratuito.
La parola diventa essenziale e la parola scritta ancora di più.
Troviamo, perciò, nella quasi totalità delle opere di Junior un riferimento semantico che porta a ragionare e quindi a riflettere sul significato profondo dell’opera stessa.
Prendiamo ad esempio, oltre al lavoro già citato, anche l’opera “do que eu era” (di quel che ero), del 2018: una schiera di pezzi di tessuto sui quali sono scritte diversi lavori precari svolti in Brasile e nel mondo oggi. Non hai bisogno di spiegare perché quelle parole sono lì, il loro significato, il tessuto e il modo in cui sono scritte.
E’ intrinseco nel lavoro stesso, e a meno che tu non conosca il significato di quelle parole, sarà difficile per chi si trova davanti ad un lavoro del genere, non fermarsi a riflettere sul significato di quella parola scritta e del perché si trova lì.
E voi cosa ne pensate dell’utilizzo della parola nell’arte?
Come sempre, un grande grazie a Junior Pimenta per averci raccontato il suo lavoro, del quale sicuramente prenderemo spunto per essere anche delle persone migliori.